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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 19/06/2009

Gentile direttore,
la "bufera" sul credito scatenata dalla reazione delle associazioni di categoria contro gli aumenti per le spese relative alle commissioni bancarie, che hanno seguito le modifiche introdotte dopo la cancellazione del cosiddetto massimo scoperto, mettono a nudo il nervo esposto dell'attuale situazione economica soprattutto del nord est.
Si tratta del legame tra ruolo del credito e propensione all'indebitamento. Saltato il vecchio equilibrio basato su un accesso facilitato ed una propensione della banca a considerare l'esposizione dell'impresa come una propria fonte di reddito, l'intero sistema è andata in corto circuito.
La fine della luna di miele tra indebitati e banca si è prodotta con la crisi finanziaria e ha messo a nudo l'eccesso di debito che contamina l'economia e che non riguarda solo l'impresa ma anche i privati.

E' vero che la reazione degli istituti di credito, rispetto alla concessione di finanziamenti, appare spropositata: era facile prima, anche perché non sempre guidata da valutazioni oggettive ma contavano anche le buone entrature e conoscenze, è assurdamente rigida oggi, dal momento che, come osservano gli imprenditori, non si nota una capacità di selezione tra chi ha bisogno di liquidità ed è una azienda sana e chi invece necessita di denaro solo per allungarsi l'agonia. Tutti vengono invece sottoposti ad una stretta creditizia accompagnata da provvedimenti, come l'introduzione delle nuove onerose commissioni, che sembrano essere il tentativo delle banche di rifarsi il make up dei bilanci.

Con in più il sospetto di un vero e proprio cartello tra istituti di credito che azzera i rischi di quella concorrenza sul mercato che, proprio in un periodo di crisi, rappresenterebbe invece un fattore molto positivo.
Ma il processo alle banche non è sufficiente.
Il dato che emerge è che, non da ieri, il fabbisogno di finanziamenti è sempre meno legato a spese per investimento e vede prevalere invece la tendenza a richiedere nuove risorse per consolidare il complesso dei debiti accumulati prima. Ci sono ragioni diverse, a seconda non solo del settore ma anche della dimensione di impresa, che hanno causato questa somma di grandi esposizioni.

Ma complessivamente vi sono due elementi che vanno attentamente presi in considerazione: la prima è la gestione sempre più spostata sul fronte finanziario rispetto all'asset della produzione; la seconda riguarda gli effetti del calo di efficienza produttiva, legato in particolare alle tipologie di prodotto e alla scarsa incidenza di innovazione dei processi. Non va dimenticata la tendenza degli ultimi anni a "esportare" gli utili, per investirli in rendita finanziaria e immobiliare, scelta che ha però svuotato di risorse il capitale d'azienda e che, contemporaneamente, ha fatto volatilizzare le risorse a causa della crisi in atto dei mercati borsistici e immobiliari.. Tutti hanno responsabilità, compresa la politica di governo, nazionale o locale, che per troppo tempo ha fatto finta di non vedere.

La via d'uscita è complicata e la posta in gioco è molto alta: tra la tendenza delle banche di recuperare profitto e la crisi del credito che affligge le imprese stanno le persone, i lavoratori. Come anche i privati clienti degli istituti di credito, quelli a cui viene dato meno dell'1% di interessi quando il conto corrente è in attivo e a cui si chiede fino anche al 13% per le passività. Senza dubbio servono nuove regole e più controlli, in particolare contro le tentazioni di blindare il mercato con i cartelli. Ugualmente, occorre che non siano le banche a fare la selezione, in questa fase di negatività del ciclo economico, ma il mercato.

Sapendo che separare il buono dal cattivo sarà un percorso doloroso, che necessita la messa in campo di strumenti di welfare evoluti, non solo di ammortizzazione della perdita del reddito, ma anche di riqualificazione professionale.
Quello che deve uscire da questa faticosa strada verso la fine del tunnel è un sistema produttivo moderno ed efficiente, capace di creare e distribuire ricchezza, che usa il credito in maniera virtuosa e per lo sviluppo, che sappia valorizzare la risorsa umana senza limitarsi alla rincorsa della riduzione dei costi e delle tutele.

Per ottenere questo risultato serve una governance forte. Da soli, banche e impresa non sapranno né potranno farcela, perché in questo momento gli interessi sono divergenti: fare cassa il più possibile, da una parte, sopravvivere anche alle proprie inefficienze dall'altra.
Serve ed è urgente un ritorno alla politica industriale non esercitata solo in maniera propagandistica ed elettorale (chi si ricorda le parole sulla virtuosità delle piccole imprese e le inefficienze della Fiat, che oggi si compra Crysler, rivolte da autorevoli ministri agli imprenditori nordestini?) ma con in testa il bene del Paese. Chi c'è ed ha idee batta un colpo e lo faccia non solo in prossimità delle scadenze elettorali.

Paolino Barbiero, Segretario generale Cgil provinciale Treviso